giovedì 3 gennaio 2019

Arrivederci, lettore


Caro lettore/lettrice,

gli addii non mi sono mai piaciuti, sai, ma sapevamo entrambi che questo momento sarebbe giunto. La mia incostanza ed i miei silenzi sono stati molto frequenti negli ultimi anni e di questo mi scuso, con te che mi hai dato fiducia e mi hai letto senza farti troppe domande.

Ho condiviso con te degli anni davvero importanti; hai potuto veder zampillare il mio entusiasmo nei miei primi post, indubbiamente acerbi, ma quanto mai sinceri; hai visto la mia penna farsi un poco più fina (o così spero); mi hai arricchito leggendomi ed apprezzandomi. 
Mi hai accompagnata inconsapevolmente in un percorso tortuoso, lungo e talvolta disperato che si è rilevato però essere necessario: un viaggio transatlantico di solo andata per l'età adulta. 
Ognuno di noi è luce ed ombra, come la mia amata Virginia Woolf mi ha insegnato, e non esiste l'una senza l'altra. 

Ho aperto questo blog in un ormai lontanissimo 2014 (o forse era un 2013?), anzi, una piccola Claudia ha deciso di aprire questo blog.
Connettersi e mettersi in gioco. 
Non posso non dirti che in fondo, tra alti e bassi, se l'è cavata pure bene.  

Ci ho pensato per molto tempo: tra tira e molla ho provato e riprovato.
Sono tornata spesso dopo sparizioni apparentemente ingiustificate, raccontandomi anarchicamente. La verità nuda e cruda, però, è che questo blog è il legame con un passato faticoso ed io devo tagliare il cordone ombelicale.
Ed è così difficile dirti oggi che il mio viaggio come giovane libraia si conclude qui.
In fondo non è altro che la fine di un ciclo, un'avventura bellissima che comunque rimarrà qua a farti compagnia quando vorrai, se avrai nostalgia. 
Sono sicura comprenderai come ad oggi le mie mille me (Levante docet) risultino incompatibili con ciò che tu hai avuto modo di leggere per tutto questo tempo, qui, su La giovane Libraia, come questo non sia più riflesso della persona che sono ora, delle mie sfacettature, passioni, dei miei amori letterari, della mia profondità.

Indubbiamente mi mancherai, ed è per questo che, se vorrai, potrai sempre dare fiducia alla Claudia del presente seguendomi nel mio nuovo cammino su Lacci in libri.
Io parlerò sempre di libri, di musica, di tutto questo. Solo con una consapevolezza differente.

Tu mi conosci attraverso le mie parole, ma io non conosco te eppure questa sera io ti abbraccio e ti ringrazio dal profondo del mio cuore. 
La magia del web.

Con tanto affetto, 
Claudia

mercoledì 16 maggio 2018

Lagioia ti amiamo - #SalTO18



Anche io sono stata al Salone del Libro
Come l'anno scorso e l'anno prima ancora e quello ancora prima-prima. 
La cosa incredibile è che quest'anno vi sto parlando del mio quarto Salone con un tempismo considerevolmente dignitoso. 
Per questo mi piacerebbe ricevere un enorme battimani, ma anche un gruppetto di cheerleader saltellanti sarebbe ben accetto. 
Frenetico, stanco, bello. 
Ve lo descriverei così, con qualche aggettivo striminzito, e saremmo a posto. 
Però come sempre c'è di più ed è risaputo che fatico assai nell'essere stringata. Indi per cui...

Anche quest'anno ho pascolato solo una mezza giornata al Lingotto con un fogliettino molto carino in cui mi sono appuntata giusto una settimanella prima i cinque (o forse quattro) incontri ai quali avrei voluto tanto, tanto assistere. (Davvero, tanto.)
Ma, ingenuamente, mi è sfuggito un aspetto importante: il sabato è un giorno davvero speciale. 
Prima della domenica, dopo il venerdì. Inizio del weekend, preludio della sua fine (e dire che a ventitrè anni suonati si dovrebbe essere consapevoli della suddivisione globale temporale).  
Le code per gli eventi rasentavano la disumanità, la fiumana di gente che gironzolava colma di sacchettini e sportine di tela mi ha spesso fatto vacillare, fisicamente parlando. 
Probabilmente ho preso più gomitate di un giocatore di rugby in un campionato intero, ma il Salone è bello. 

Non importa che tu sia alta meno di un metro e sessanta e qualcuno ti scambi per uno sgabellino mentre spulcia tra gli Adelphi: tu vuoi i Diari di Sylvia Plath e gli scoverai comunque. 
Non importa se stai in fila per un'ora con la vana speranza di assistere all'intervento di Burioni: farai spallucce e ti allontanerai dignitosamente quando sarai la centoduesima personcina fuori dalla porta e non potrai entrare perchè la sala contiene solo cento posti. 
Sempre dignitosamente ti mangerai un panino tentando di non addormentarti con un pezzo di avocado in bocca (sì, l'avocado nel panino) in un angolino casuale, di un qualche padiglione lontano. 
Quando i piedi scricchioleranno ad ogni passettino e il tuo rachide implorerà pietà in almeno ottanta lingue differenti, tu vorrai andare ancora alla minimum fax perchè ci sono le spillette colorate con scritto My weekend is all booked. 
In tutto ciò difficilmente sarai solo, perchè al Salone non si va quasi mai soli, ci si porta appresso un po' tutti evidentemente (amici, parenti, amici degli amici e vicini di casa). 
Ammesso poi che veramente si voglia provare l'esperienza zen del Salone per ritrovare sè stessi, senza sentirsi in colpa ogni qualvolta ci si ancori ad uno stand di una qualche casa editrice sconosciura ai più, la verità è che: non sarai mai veramente solo.
Come potresti? Sei circondato da storie belle, bellissime e soprattutto da persone che sono disposte a raccontartele. Se sei fortunato puoi scovare Lagioia entusiasta da qualche parte, presissimo dai suoi discorsi sul suo Salone ricordando a tutti che è qualcosa di vivo, tutto nostro, e che va oltre le barriere architettoniche. Se hai pazienza puoi assistere ad incontri con autori immensi e discussioni su tematiche importanti.
Quando mai ti ricapiterà di poter respirare così tanta carta in una volta sola?
Sì, ci sono tantissime fiere del libro in Italia, lo sappiamo tutti. Ma la verità è che a Torino ci sentiamo un po' speciali ed il nostro Salone è qualcosa di grandissimo. 
Quindi, non mi importa se mi vengono le vesciche ai piedi, se non ho più elettroliti in corpo a fine giornata. Ho un'occasione l'anno per la mia timidezza agli stand, per gli espositori che mi sorridono, entusiasti del loro catalogo, per massacrare il mio nuovo compagno di avventure, per Lagioia che ama tutto e tutti e noi che amiamo tanto lui.
Torino ti ringrazia.
 Ci vediamo l'anno prossimo, Salone.

Con affetto
Claudia 

mercoledì 11 aprile 2018

Yates, larve da pesca ed Easter Parade


Easter Parade è stato il mio primo Yates.
Io ed il carissimo Richard ci siamo incontrati in una timida e tiepida giornata primaverile, davanti ad un camino ancora acceso.
Di lui ho apprezzato da subito la sagacia, l'ironia e, perchè no, anche gli implacabili giudizi sulla debolezza umana - e fidatevi che sono stati davvero molti, difficili da mandar giù talvolta.

Considerato un capolavoro alla pari di Revolutionary Road, Easter Parade è una saga familiare eccezionale.
Sarah e Emily sono due sorelle caratterialmente molto differenti, la prima più solare e convenzionale, l'altra più chiusa e indipendente.
La penna di Yates ritrae le loro esistenze borghesi sullo sfondo di un'America spogliata del suo sentimentalismo ottimista, abbracciando i loro destini per quasi cinquant'anni.
Figlie di genitori divorziati, cercano in tutti i modi di sottrarsi alla mediocrità a cui sembrano destinate per nascita, aspirando ad una felicità difficile da identificare quanto da ottenere.
Né l'una né l'altra delle sorelle Grimes avrebbe avuto una vita felice, e a ripensarci si aveva l'impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori. [...]
Yates è spietato con le persone che ingannano sè stesse e gli altri; non lascia via di scampo o possibilità di riscossa ai suoi personaggi; li lascia in balia di occasioni di felicità non colte, scelte sbagliate ed un destino che sembra essere influenzato pesantemente dal loro vissuto familiare.
Non c'è spazio per quel romanticismo gioioso tanto caro alla propaganda statunitense, ma piuttosto tra le pagine si respira una visione essenzialmente negativa del genere umano.

I riferimenti autobiografici sono molti: Yates dichiarò di essere una delle sorelle Grimes e nominò la madre delle due ragazze Pookie, cambiando solo una lettera di Dookie - nomignolo con cui sua madre Ruth si faceva chiamare dai figli.
I temi costanti del divorzio, dell'alcolismo e della famiglia come nucleo soffocante sono frutto di un processo di abreazione.
Nella sua letteratura dei particolari curati, dei riferimenti fini - come direbbe Pookie ogni dettaglio è una chiave di lettura importante. Il cartello che mette in vendita Blood and sand worms* (larve da pesca) - presente per ben due volte nel romanzo - non è una semplice minuziosità volta a ricamare il testo, bensì una metafora vitale.
La famiglia è infatti per Yates un'entità contorta, vermicolare, sotterranea, claustrofobica.
Una claustrofobia che ricorda a tratti Kafka e che accompagna il lettore fino alla fine.
Da qui la chiusura maestrale:
[...] ti va di venire dentro a conoscere la famiglia?
E cosa importa del tuo Problema del Tetro Fine, Yates, delle vite incocludenti, autoconservative, egoiste a tratti, della frivolezza umana.
Sprofondiamo insieme in questa tranquilla disperazione.
Non vedo l'ora del prossimo caffè insieme (decaffeinato possibilmente).


con affetto,
Claudia 
(*Larve e lombrichi)

 La colonna sonora della mia lettura 
(#notedicarta)
Walk on the Wild Side, Lou Reed
Walk like an Egyptian, The Bangles
Suffragette City, David Bowie

domenica 7 gennaio 2018

Tempo che prendi, tempo che vai


Tempo di bilanci.
Abbiamo un po' tutti questa tendenza a fine anno: ci si mette da qualche parte, in un angolino rassicurante della casa, si fissa fuori dalla finestra (meglio se durante una giornata un poco uggiosa) e si pensa, si prova a fare ordine, si cerca di capire.

Stockholm, gennaio 2018
Ci sono anni che scorrono in sordina, che ti lasciano poco, tra normalissimi alti e bassi, giorni più felici e giorni più cupi, di cui probabilmente non ricorderemo poi molto.
Poi ci sono gli anni intensi, complessi, cazzuti, i migliori.
Il mio duemiladiciassette è stato uno di quest'ultimi.
Ha concluso un ciclo della mia vita importante, ha segnato definitivamente la mia fanciullezza e mi ha fatto sentire davvero donna.

Fin troppo veloce sotto alcuni aspetti, ed immensamente dilatato sotto altri.


Questi trecentosessantacinque giorni mi hanno regalato molto, più di quanto pensassi di meritare.
Esperienze umane importanti, viaggi, successi ed amicizie intramontabili.
Ci sono stati giorni che mi hanno messo duramente alla prova, che ho odiato con tutta me stessa fino a che non mi sono resa conto che io posso tutto, perchè non mollo, perchè se devo, se sono con le spalle al muro, io la montagna me la sposto anche da sola.

Se dovessi scegliere una parola emblematica per tutto questo sarebbe sicuramente imprevedibilità.
Ed è proprio per questo che non mi sento più di stilare liste dei buoni propositi, fissarmi troppi obiettivi. Noi mutiamo fluidamente giorno per giorno, oggi sono io a scrivervi, ma domani potrei sentirmi già qualcuno di completamente diverso.
 
Qualche consiglio alla me del futuro però voglio darlo.

Goditi il tuo presente, circondati di parole ed inchiostro, di libri che profumano di inizi, di letture che soffiano vite nuove; ama ciò che sei ed ama ciò che fai; conserva i tuoi ricordi e la tua memoria perchè tu possa voltarti ogni volta che vuoi e compiacerti dei giorni che ti stai costruendo, del futuro che cresce e si avvicina. 
Non temere le sfide, i capitomboli a terra. Tu ti rialzi sempre, lo sai. 
Scrivi, scrivi tanto, torna a farlo. 
Nutriti di sentimenti benevoli Claudia, ed abbi pietà di te stessa.
Abbandona la perfezione, sii fragile, conceditelo, concediti una serenità duratura. 



La vostra Claudia di fine 2017

domenica 30 luglio 2017

Il nostro bisogno di consolazione


 Nessuno sa quando cala l’oscurità, e la vita non è un problema che possa essere risolto dividendo la luce per la tenebra e i giorni per le notti, è invece un viaggio pieno di imprevisti tra luoghi inesistenti.

Stig Dagerman.
Un nome imponente che fa tremare le mani davanti alla tastiera e impallidire davanti alle sue pagine.
Uno di quegli uomini che hanno sentito bruciare sulla propria pelle i terribili anni tra il '45 e il '50. Terribili non per iperbole, signori miei.
Parliamo di massificazione, con conseguente perdita della propria individualità; di esistenza racchiusa in un percorso ben delineato, rigoroso; di standardizzazione di qualsivoglia aspetto della propria vita; di oppressione di pensieri non consoni; di risposte facili a domande sempre più rare; di insoddisfazione cronica della propria esistenza; di rabbia repressa sputata su capri espiatori, odio, disprezzo per la distinzione e, dulcis in fundo, burattinai davanti ai quali si china la testa silenziosamente. 

Forse Dagerman è più attuale di quanto si creda, no? 

Il nostro bisogno di consolazione è il testamento di un anarchico in perenne rivolta contro lo status sociale a cui l'intera umanità deve adeguarsi, il testamento spirituale di un uomo che, oppresso dalle aspettative e dal suo stesso talento, si suiciderà nel 1954. 

Schiavo della propria sensibilità, ossessionato dallo scorrere del tempo, aspira al desiderio umano più basilare, ma quanto mai difficile da esaudire: la felicità accompagnata dalla libertà. 

Eppure egli scrive, mostrando una consapevolezza disarmante e facendo trapelare quel male di vivere comune a molti scrittori, primo fra tutti Eugenio Montale: 
 [...] di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l'uomo non può essere soddisfatto[...]. Io mi rifiuto di scegliere tra l'orgia e l'ascesi, anche se il prezzo dev'essere un tormento continuo. [...] ciò che cerco non è una scusa per la mia vita, ma il contrario di una scusa: l'espiazione.  
Per Dagerman il rigore etico e la necessità di opporsi ad un mondo che non gli appartiene prevalgono su qualsiasi altra volontà, a tal punto che egli preferisce coltivare la propria infelicità, issando la sua angoscia come baluardo di salute morale.

Quel camminare sentendo la spaventosa sfida dell'eternità, e la certezza che il tempo non è altro che una consolazione perchè niente di umano può essere perenne si fondono alimentando paradossalmente un inno all'individualità e alla bellezza della vita:
 Il tempo è in fondo uno strumento di misura privo di valore, perchè tocca esclusivamente le mura esterne della mia vita. Ma tutto quello che mi accade di importante tutto quel che conferisce alla mia vita il suo contenuto meraviglioso [...] si svolge totalmente al di fuori del tempo. Che io inconti la bellezza per un secondo o per cent'anni è del tutto indifferente.
Uno dei tantissimi motivi per cui Dagerman dovrebbe avere uno spazio tutto suo in ogni libreria, uno spazio nella testa di ogni essere vivente, è proprio questo: lui ti trafigge freddamente, ti fa del male, ma un attimo dopo ti ricorda che puoi costruire la tua libertà, nonostante questa sia probabilmente solo un miraggio.
Dagerman ti dice che la vita umana non è una prestazione, ma uno svilupparsi e ampliarsi verso la perfezione. E ciò che è perfetto non dà prestazioni, opera nella quiete. 
Dagerman ti urla non il dovere prima di tutto, ma prima di tutto la vita! Come ogni essere umano, devo avere il diritto a dei momenti in cui posso farmi da parte e sentire di non essere solo un elemento di una massa chiamata popolazione terrestre, ma di essere un'unità che agisce autonomamente.

Dagerman ti cambia i connotati.

Ti cambia la vita.

E tu vorresti potergli stringere la mano, ma non puoi.
Allora decidi di urlargli al cielo io dannazione ti ho capito, lascio sogni immutabili e relazioni instabili. 

con rispetto e ammirazione,
Claudia

venerdì 26 maggio 2017

Quando vincono i libri, ovvero il #SalTo30


Per tutti quelli che ma tanto il Salone di Torino è morto, a Milano facciamo meglio, la nostra fiera gliela piazziamo giusto giusto qualche settimana prima, cambiamo aria.

E invece... no.

Un po' di spavento ce lo siamo presi tutti, non neghiamolo.
Anche solo la vaga idea che il Salone Internazionale del Libro potesse scappare dal Lingotto, rapito, portato via - ma poi portato dove? - o peggio, sostituito, trasferito, boicottato - una cospirazione degli Sforza forse? - ci duoleva il cuore, un po' per orgoglio Savoia, lo si ammette, ma soprattutto perchè insomma la tradizione è tradizione ed il SalTo è Torino.
Il lettore almeno una volta nella vita giunge in via Nizza e, come un pellegrino a La Mecca, cerca la Ka'ba.
Qua si ride, ma su certe cose non si scherza proprio, ragazzi.

Forse ci si è sentiti anche un po' traditi quando il punto focale di tutto questo non sembrava essere la lettura come mezzo di confronto, tanto più una questione economico-politica; sì, lo sappiamo tutti che non viviamo nel mondo delle favole, ma un po' di amaro in bocca rimane sempre, soprattutto quando si è spettatori di sgambetti organizzativi e litigi tra mocciosi della serie io qui non ci rimango, senza di me siete persi, ci vediamo a Milano. 

Che poi, diciamocelo, non è questione di tifoseria Milano - Torino, Torino - Milano, non servono capi ultras e tantomeno cori da stadio (anche se un chi non salta un bauscia milanese è mi pare di averlo sentito da qualche parte) per sperare che degli eventi culturali di questo calibro riescano a coesistere senza intralciarsi.
Coesistere, che bellissimo vocabolo.

Insomma, questa edizione sembrava un terno al lotto e qui si aspettava il diciotto maggio come fosse Natale.
Arriva Tempo di libri e sembra tutto molto bello; c'è chi fa la ola, chi un applauso, chi una piroetta (chi sta a casa a studiare e si addormenta sui libri).
Esce il programma del Salone ed è subito scetticismo; ma che si fa? Si va? Lagioia ci piace, non ci piace?  
Arriva il diciotto, c'è chi aspetta il diciannove come la sottoscritta, e niente... poi si entra.

Qual è  il bel finale di tutto questo fantastico teatrino lo sappiamo un po' tutti, complici anche i numerosissimi bilanci ed articoli di giornale che stanno girando in questi giorni.
Ciò che realmente conta, alla fin della fiera, non è di certo la rivalità tra due città che si punzecchieranno sempre, tantomeno stipulare un vincitore.
Meglio il Salone? Meglio Tempo di Libri?
Meglio i libri, quelli che uniscono.
 
Quest'anno le mie borse si sono riempite non solo di storie da leggere, ma anche della passione di chi ha creduto in quelle pagine, di chi le ha scritte, perchè la cultura è condivisione e leggere non è un'attività solitaria, non significa estraniarsi, anzi, leggere è interazione.

Leggere non ci rende persone migliori, ma più semplicemente ci arricchisce. E' forse per il senso di pienezza che ne deriva che passeggiando circondati da libri e da persone che amano i libri un sorriso tra lettori raramente manca.
Questo è il mio Salone, ogni anno, indipendentemente dalle coordinate geografiche, e spero non cambi mai.

Quest'anno è stata una toccata e fuga, ma il mio pass stampa verrà conservato come una reliquia insieme ai tesori scovati tra gli stand; partendo dalla Black and Coffee con il suo aperitivo delle 18 - che per timidezza non ho osato toccare - continuando con Edizioni Clichy, il suo calorosissimo staff e l'edizione integrale in formato giornale di Una stanza tutta per sè; autori che vogliono parlarti dei loro libri e ti placcano in mezzo alla folla; sacchetti che pesano come macigni, ma che sono alleggeriti dai numerosissimi sconti delle case editrici che vogliono promuoversi ed avvicinarsi al lettore. Ed infine: bibliotecari e librai, torinesi e non, in una vera e propria foresta di carta ed inchiostro pronti a elargire consigli e raccontarsi.

Certe cose non cambiano, ragà, e se proprio devono farlo, mal che vada diventano più belle.

Claudia


lunedì 10 aprile 2017

Mal di pietre e sorrisi liquidi




Scorrevole, piacevole, delicato.
Oserei dire poetico, ma parlo di quella poesia semplice, limpida e senza pretese.
Solo centodiciassette pagine di dolcezza e sorrisi, sorrisi liquidi. 
Mal di pietre di Milena Agus è un concentrato di emozioni ovattate, che si sciolgono pagina dopo pagina, talvolta impercettibilmente, accompagnate dalle note di Chopin, Bach e Debussy.
Mi piacerebbe definirlo un romanzo onomatopeico.
Il suono è infatti il filo portante della narrazione, unisce e divide, talvolta accompagna, ma la sua presenza è una costante. Abbiamo il mare che bagna le coste della Sardegna, il pianoforte, il flauto, Milano ed infine "[...] l'amore che si fa con il rumore dei gabbiani.".

Mal di pietre è un racconto nostalgico, che parla d'amore con la stessa freschezza e semplicità dei bambini, i quali custodiscono il dolore con un'ingenuità commovente. 

  "[...] Tutti erano convinti che un uomo di 50 anni non guarderebbe mai una coetanea, però questi erano ragionamenti validi per le cose del mondo. L'amore no. L'amore non bada nè all'età nè a nient'altro che non sia l'amore. [...] Se lui glielo avesse chiesto, lei non sarebbe tornata a casa mai più. Perchè l'amore è più importante di tutte le altre cose. [...]"

Nell'epicentro del romanzo troviamo una donna, il suo matrimonio e il suo amore extraconiugale con il Reduce, incontrato in un luogo termale, dove entrambi curano su mali de is perdas, letteralmente il mal di pietre, ovvero i calcoli renali.
Un male che si tramuta in mal di amore, e che ci viene narrato dalla voce della nipote tramite pianti, sorrisi e stupore. 

Mal di pietre, pietre preziose come "[...] Il cielo a pezzetti fra i rami spogli degli alberi."
Preziose come questo romanzo che non è altro che un microcosmo femminile, costellato da donne estremamente diverse tra loro, scritto da una penna aggraziata dal tratto leggero.

"[...]Lei non era matta, era una creatura fatta in un momento in cui Dio semplicemente non aveva voglia delle solite donne in serie e gli era venuta la vena poetica e l'aveva creata."
Ho scovato questo gioiello in uno scaffale nascosto ed impolverato di un mercatino dell'usato, ad occhi chiusi. Sono contenta di averlo sistemato in borsetta e di avergli lasciato arricchire il mio piccolo universo di lettrice.


Claudia 

La colonna sonora della mia lettura: 
Ludovico Einaudi, Night
De Andrè, Bocca di rosa

lunedì 21 novembre 2016

Che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te


Ho sempre creduto che si scriva per necessità; necessità di farsi sentire, di rendere quasi tangibile il proprio groviglio interiore, che sia questo frutto di sentimenti positivi o negativi.
Difficilmente si decide di prendere foglio e matita quando dentro non si ha niente.

Soprattutto, credo che non si leggano libri così dolorosi se non si ha mai provato cosa vuol dire soffrire. Forse mi sbaglio, ma per quale motivo una persona felice dovrebbe farsi carico delle ferite altrui? Perchè dovrebbe condividerle o anche solo sfiorarle per un momento?




Ho preso in mano parecchie volte Che tu sia per me il coltello di Grossman dalla mia libreria. L'ho sempre riposto con cura, di nuovo, al suo posto, tra La signora Dalloway e Il giardino dei Finzi Contini.
Curiosa collocazione. E' stato per mesi a fare compagnia alla mia autrice preferita, insieme al libro che mi ha dato il coraggio di fare un passo avanti, come se sapesse che sarebbe stato necessario prima o poi. 

Questo libro si costruisce usando come fondamenta Lettere a Milena di Franz Kafka, autore che mi sta a cuore per mille motivi, tanto che il titolo Che tu sia per me il coltello fa riferimento alla celebre citazione kafkiana:
"[...] Che tu sia per me il coltello, con cui frugo dentro me stesso."
Inusuale nella sua forma e struttura essendo un romanzo epistolare, trae la sua forza proprio da questa sua peculiarità: una serie di lettere scritte da un uomo, Yair, ad una donna che non conosce, Myriam, con la quale inizia un rapporto basato esclusivamente sulla potenza delle parole. Un rapporto profondo, ma libero da qualsiasi vincolo. 

Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un'iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: "Con lei ho stillato verità". Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto. Un coltello affilato ma misericordioso - parola tua. Non ricordavo nemmeno che fosse lecita. Un suono così delicato e ovattato. Una parola senza pelle [...]

Strano come Grossman sia caduto su di me proprio in uno dei momenti più felici della mia vita. Ancora più curioso è come abbia potuto prendermi per mano e aiutarmi a voltarmi indietro, forse un'ultima volta. 

Yair è uno dei personaggi maschili più umani che io abbia mai incontrato. Terribilmente umano, a tratti disturbante. 
Scrive, scrive, scrive. Tutto ciò che la sua mente riesce a partorire pensando a lei e alla propria inutile e insoddisfacente vita. 

Una volta hai riso dicendo che le mie lettere sono come una matassa. Lo so, sono talmente aggrovigliato che ora, forse, non è più possibile districarmi. Non cerco nemmeno di convincerti a provare, ti chiedo solo di tenere in mano quella matassa, per un attimo, un altro mese, quanto potrai. E' una richiesta non da poco, lo so. Ma ora ti trovi alla giusta distanza tra la mia infamia e il mio orgoglio [...] e non puoi sottrarmelo. 

Non si può parlare di amore. L'amore non è solo condivisione del proprio dolore, e nemmeno aggrapparsi all'altro cercando di non annegare, questo lo so bene. 
Questo spesso mi ha fatto quasi commuovere. Sentire il disagio interiore di un uomo che cerca, annaspando, di farsi salvare da una donna che nemmeno conosce e che crede di amare.



C'è qualcosa di morboso in Yair. L'intensità della sua sfera emozionale è totalmente ingigantita, ma soprattutto il suo disagio interiore è talmente forte da insudiciare le pagine che hai tra le mani. 
Eppure io l'ho apprezzato nella sua nudità.
Forse perchè siamo stati tutti un po' Yair, oppure ne abbiamo incontrato uno, oppure lo coviamo dentro di noi. 

Probabilmente la lezione da portarsi dietro è questa: non sempre bisogna cercare di cancellare alla rinfusa ciò che è stato. Vero, sarebbe molto più liberatorio rimarginare le ferite che ci cristallizzano nel passato, ma sarebbe senz'altro più doloroso perdere per sempre una parte della propria vita.
I legami vanno al di là della carne.  

Come hai scritto? "Per aiutarci l'un l'altro a essere tutto quello e tutti colore che siamo.

C'è molto di più nelle relazioni interpersonali; le parole rimangono, quelle che diventano inchiostro sulla carta oppure che vibrano nell'aria diventando suono. 
Sono quelle che contano. 

Quindi, scrivete, date voce a quello che avete dentro e non vergognatevene, ma soprattutto date valore a ciò che provate, sempre

Claudia 

La colonna sonora della mia lettura:
Bella Notte di Ludovico Einaudi 
Space Oddity di David Bowie
Winter Bird di Aurora

domenica 28 agosto 2016

Di tutto un po', ossia quando finisce l'estate

 Ultimi acquisti libreschi risalenti a fine giugno

Parliamo di un summer ending mentale, non astronomico, per intenderci.
Le mie vacanze si stanno concludendo, ed effettivamente sono letteralmente volate. Ammesso e concesso che qualcuno abbia mai detto nella sua vita oddio, non ne posso più di riposare, quando finiscono le vacanze?
Sta di fatto che settembre è alle porte ed io devo riniziare a studiare. Le mie giornate torneranno ad essere scandite dal mio tomato timer: venticinque minuti di studio, cinque di pausa, venticinque di studio, cinque di pausa... in un loop infinito ed estenuante per le mie povere cellule neuronali (e non solo). Eppure, non nego che immergermi nei tomoni di medicina mi piaccia.
Intervallare lo studio a qualche lettura ancor di più.

 A room with a view, o meglio My room with a view

A proposito di letture, durante le ultime due settimane ho letto quattro titoli bellissimi che vi consiglio a prescindere e dei quali vi parlerò in modo più approfondito in un #Libriinpillole.
Ho portato finalmente a termine Walden di Thoreau, libro che è diventato la mia personale Bibbia. Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani mi ha scaldato il cuore come solo Buzzati riuscì a fare con il suo Il segreto del bosco vecchio.
Mi sono innamorata follemente di Karl Ove Knausgard con La morte del padre e ho apprezzato molto Fight Club, il mio primo Palahniuk.

In questo mese di pausa dall'università ho anche cercato di arricchire i contenuti de La giovane Libraia.
Anche se il fulcro rimarrà sempre e comunque il blog - e nulla lo sostituirà, ora abbiamo una newsletter settimanale su TinyLetter (per iscrivervi qui) dove vi parlo ogni sabato della mia settimana, tra libri, musica, film e molto altro. Un modo per tenerci in contatto con leggerezza, soprattutto quando non ho molto tempo per girare video o scrivere articoli per il blog.
Potete seguirmi anche su Goodreads (qui) e su Instagram (qui).
(Per quanto riguarda Instagram, ho un profilo privato per necessità personale, ma potete tranquillamente farmi richiesta)
 
Inoltre sul canale ho caricato qualche nuovo video:

Qui vi parlo di Un cigno selvatico di Michael Cunningham, edito La Nave di Teseo 

Qui vi propongo un video - discussione che ha come temi il tempo, la tecnologia e la lettura

Siete tantissimi ed io vi ringrazio davvero tanto perchè leggete i miei post sconfusionati, guardate i miei video sentimentali e mi apprezzate per la lettrice che sono. 
Grazie.

lunedì 25 luglio 2016

Leggere mi ha cambiato la vita - Evento a premi per il secondo compleanno del blog

Due anni fa, un po' per gioco, scrivevo il mio primo post in questo piccolo spazio virtuale.
Non sapevo dove sarei andata a parare, tanto meno dopo quanto tempo mi sarei annoiata e avrei lasciato perdere.
La costanza nei progetti ludici mi è sempre mancata, quella la tengo accesa per lo studio e per gli sport di squadra generalmente.
Dico generalmente perchè in questo caso parliamo di un'eccezione.
Voi siete la mia eccezione.
Perchè? Perchè dopo due anni abbondanti io amo ancora scrivervi, parlarvi e sentirvi. Questo è diventato il mio, il nostro, piccolo antro. La mia coperta di Linus.
Ho conosciuto persone meravigliose, ho condiviso con voi gioie e dolori, nonchè bellissime letture.
Anche se non sono molto brava in queste cose, un grazie mi sembra d'obbligo.
Grazie a chi mi segue in silenzio, grazie a chi trova il tempo per lasciarmi un commento, grazie a quelli che mi cercano quando sparisco - e lo so, capita spesso. Grazie a chi mi ha dato fiducia subito e a chi magari ha aspettato di conoscermi meglio.
Grazie a tutte le ragazze del mondo dei BookTuber, le quali mi hanno accolta a braccia aperte e non perdono mai occasione per riempirmi di complimenti e belle parole.
Insomma, grazie a tutti quanti. Siete speciali.

Per rendere speciale questo traguardo, ho deciso di organizzare un piccolo evento a premi, il concorso fotografico Leggere mi ha cambiato la vita, il quale ha come scopo principale la condivisione e la diffusione della nostra passione per i libri e la lettura.
Confidando nella vostra partecipazione, vi lascio il video di presentazione e il regolamento qua sotto.

Vi aspetto miei cari,
un abbraccio grandissimo!



REGOLAMENTO 

Quando e dove?
Il concorso si svolgerà a partire dal 25 luglio 2016 al 15 agosto 2016, sulla pagina Facebook La giovane Libraia.

Come posso partecipare? 
- Inviami una foto dei 5 libri che ti hanno cambiato la vita, scrivendomi quanto è importante per te la lettura
- Iscriviti al mio canale YouTube, diventa lettore fisso del Blog e metti mi piace alla mia Pagina Facebook
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La tua foto verrà inserita nell'album Leggere mi ha cambiato la vita - Compliblog sulla pagina Facebook.

Come faccio a contattarti e inviarti la foto?
Molto semplice. Scrivimi direttamente tramite la pagina facebook, oppure invia una mail a lagiovanelibraia@gmail.com 

Chi vince? 
I vincitori saranno i 5 lettori che otterranno più mi piace entro le 23.59 del 15 agosto.

Cosa si vince?

1-2ndo posto: 
Un libro a scelta della collana I pacchetti edito L'orma editore (sfoglia il catalogo qui) + un segnalibro personalizzato dipinto a mano

3-4-5nto posto:
due segnalibri personalizzati dipinti a mano

Allora, tu parteciperai, vero?

Contatti
 


sabato 11 giugno 2016

Liebster award 2016: il magico momento dei bloggers

Qualche settimana fa sono stata contattata da Luz del blog Io, la letteratura e Chaplin - che colgo l'occasione per ringraziare tantissimo! - per un'iniziativa bellissima: il Liebster Award.
Si tratta di un premio che viene assegnato a blog con meno di 200 follower, insomma una bellissima iniziativa che ha come scopo quello di scambiarsi idee e spunti.
Let's start.

1. Ringraziare chi ci ha premiato, anche due volte (non fa mai male!). Ringrazio tantissimo Luz per l'attenzione che mi ha dedicato.
2. Scrivere qualcosa sul blog che preferite. A tal proposito, vorrei spendere due parole sul suo blog. Lo adoro, inutile dirlo. I suoi articoli oltre ad essere sempre fonte d'ispirazione e riflessione, sono particolarmente curati. Siccome anche l'occhio vuole la sua parte, come si suol dire, anche la grafica merita un po' di attenzione. E poi, voglio dire, condividiamo la stessa passione per Virginia Woolf. E ho detto tutto. Continua così!

3. Rispondere alle 11 domande del blogger che ti ha nominato
1. Il primissimo libro che hai letto?
Fin da quando ho imparato a leggere (cavolo, c'è stato un periodo della mia vita in cui effettivamente non sapevo leggere?!) sono stata una divoratrice di carta e inchiostro. Eppure credo che il mio primo  libro sia stato Harry Potter e la camera segreti, come dimostra la prima di copertina della mia copia!
2. Qual era il tuo sogno da bambino/bambina? Lo hai realizzato almeno in parte?
Ero una bambina con una fervida immaginazione, di conseguenza ho sempre avuto una marea di sogni nel cassetto. Affrontare il malefico test d'ingresso e studiare medicina faceva parte dei miei progetti.
Per tutti gli altri ... i sogni son desideri di felicità. 
3. C'è un insegnante che ha segnato un momento importante della tua vita scolastica o universitaria?
Ho avuto il piacere di incontrare parecchi insegnanti capaci e pieni di passione per il loro lavoro. Ma il mio cuore è rivolto al mio prof. di italiano e latino  avuto durante il trienno al liceo.  
4. I tuoi familiari condividono con te la tua esperienza di blogger?
I miei familiari sono sempre pronti a spronarmi e sostenermi nei miei progetti. Quando ho deciso di aprire un blog e con canale youtube annesso sono stati i primi iscritti. Condividono con me l'entusiasmo che metto in quello che scrivo e per questo li ringrazio davvero tanto. 
5. Qual è il "viaggio impossibile" che compi puntualmente nei tuoi pensieri?
Sono al binario 9 e tre quarti. Ci vediamo ad Hogwarts!
6. Da 1 a 10 quanto ti piace il tuo carattere? 
Credo un bel 9 pieno e non è narcisismo, anzi. Semplicemente dopo anni e anni in conflitto con me stessa, mi sono resa conto che in fondo nonostante i miei difetti, mi amo per quella che sono. Non potrei essere diversa. Il mio carattere è sinonimo di quello che sono stata, di quello che sono e di quello che sarò.
7. Quanto conta l'amicizia per te? 
Per me l'amicizia, quella vera, è un legame viscerale, bellissimo, fondamentale. L'amicizia va al di là dei legami di sangue, e per questo è ancora più profonda. E' un sentimento coraggioso che ci può migliorare e rendere felici. 
8. Sei un tipo sportivo? O irrimediabilmente pigro?
Sono una tipa molto sportiva, anche se con l'inizio dell'università i miei ritmi sono calati. Fin da piccola sono stata abituata all'attività fisica. Dalla ginnastica artistica, al nuoto, per approdare definitivamente al calcio. Da ragazza competitiva quale sono, vi dico che poche cose sono più appaganti di dare tutta sè stessa per la propria squadra.
9. L'ultimo modello di pc che hai acquistato?
Un toshiba.
10. Se tu fossi un libro, saresti...
Il segreto del bosco vecchio di Buzzati
11. Quanto tempo avrai impiegato a scrivere questo post? :-)
Davvero tanto, troppo tempo! Circa una settimana, cavolo!
 
4. Scrivere, a piacere, 11 cose di te
Gioco a calcio, o meglio, giocavo a calcio a livello agonistico. Mi manca. 
Amo il cioccolato fondente e il formaggio. Qualsiasi tipo di formaggio. Datemi del formaggio!
Ho frequentato una scuola di musica per quattro anni, suonando la chitarra classica.
Se potessi viaggerei per tutta la vita, per fotografare il mondo con la mia reflex.
Sono gelosa della mia indipendenza.
Mio fratello è il mio bene più prezioso.
Ho il terrore di dimenticare i momenti più importanti della mia vita. Per questa ragione da qualche anno tengo un'agenda e la riempo con foto, frasi, musica, libri. 
Sono una libellula.
Nei momenti più difficili mi faccio forza con la massima la mente domina la materia.
Freddie Mercury morì il 24 novembre del 1991. Non l'ho ancora accettato. 
Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.

5. Premiare a tua volta 11 blog con meno di 200 follower
1. Un libro e una cioccolata di Rebecca 
2. I libri di Gi di Giada
3. Saravskij di Sara 
4. What we talk when we talk about book di Penny Lane
5. If you have a garden and a library di Antonella
6. Le nove Muse di Elisa
7. Peek a book di Valentina
8. Libri in pantofole
9. Sfogliando la vita
10. Smell of books
11. Le pagine di Leda di Leda

6. Formulare le 11 domande per i blogger che si nomineranno 
1. La tua autrice donna preferita?
2. Come ti vedi tra dieci anni?
3. Quanto è importante per te la tua famiglia?
4. Qual è il luogo più bello che hai visitato nella tua vita?
5. Quali sono i movimenti artistici che preferisci?
6. Hai una sorta di "colonna sonora" che ti accompagna?
7. Se dovessi scovare nella memoria il momento più felice della tua infanzia ...
8. Il tuo gioco da tavola preferito?
9. Hai un amico a quattro zampe?
10. La felicità è ...
11. Hai un sogno nel cassetto?

7. Informare i blogger del premio assegnato
Sono giunta al termine!
Ringrazio ancora Luz per questa opportunità. Anche se ho faticato un po' - è molto difficile parlare di sé stessi - mi sono divertita, veramente. Queste piccole cose mi scaldano il cuore.
Grazie a tutti quanti per il tempo che mi dedicate leggendomi, per le vostre parole di apprezzamento, per la vostra rassicurante presenza, anche se dietro ad uno schermo. Siete preziosi.

Un abbraccio,
Claudia

sabato 4 giugno 2016

Libri in pillole #6 - Rughe, ossia il racconto di una vita

Premessa: non sono un'appassionata di graphic novel, ma vorrei diventarlo. 

E' sempre difficile parlare di letture che si insediano nella memoria, specialmente se accarezzano le tue esperienze passate. Ci provo.


Rughe. 
Rughe è un racconto delicato ed affettuoso, al contempo umoristico e, ahimè, anche malinconico.

Nel tratto caratteristico di Paco Roca - il quale è entrato a far parte dei miei fumettisti preferiti - prende forma la storia di Emilio, un uomo anziano destinato a passare i restanti giorni della sua vita dentro un istituto per anziani, essendo i suoi parenti incapaci di prendersene cura.
Paco Roca si fa infatti voce di una realtà sempre più usuale nella nostra società: affidare a terzi il gravoso compito di prendersi cura della vecchiaia dei nostri cari - scelta talvolta obbligata.

Siamo sempre più predisposti ad un approccio pessimistico verso la vecchiaia.
Cerchiamo di ritardarne i sintomi, giorno per giorno. Come se il termine vecchio fosse sinonimo di decadimento
Siamo circondati da malattie neurodegenerative, le quali ci ricordano come il nostro vissuto sia labile, i nostri ricordi possano essere distrutti da un momento all'altro.
Non a caso infatti ad accompagnare Emilio c'è il morbo di Alzheimer, una delle patologie più discusse, temute e misteriose del nostro secolo.  

Emilio è un espediente, un vettore, attraverso il quale ci è possibile osservare più da vicino una vera e propria comunità di persone al culmine della loro esperienza di vita. Uomini e donne che si aggrappano ai propri affetti e al proprio passato, intraprendendo una battaglia contro il tempo che passa e la fine che si avvicina.

Paco Roca ci dipinge una tela affollata di annedoti sulla senilità con maestria, riuscendo a far riflettere il lettore con leggerezza.
La cosa più importante però, è che la sua tela è ricca di esseri umani.
Sono lì per ricordarci che la vecchiaia è una tappa obbligata, che non può essere nascosta ai confini delle nostre vite.

Ci dicono che forse, quando i margini dei nostri ricordi si faranno sfocati, quando il viso delle persone che abbiamo amato durante la nostra vita si faranno anonimi, noi vorremo qualcuno accanto a noi che nonostante tutto ci ricordi che il nostro vissuto è stato memorabile

Non dimenticatevi di chi avete avuto accanto.
Ricordate, ricordate per loro. 


Alla mia dolce zia, 
 Claudia 


giovedì 12 maggio 2016

La "pulce" musicale di Italo Calvino - Franco Cesati Editore

Si leggono pochi autori italiani, si evitano le case editrici indipendenti.
Due luoghi comuni, discutibili senz'altro, ma che fanno da bello sfondo per il libro di cui voglio parlarvi questa sera.

Mi è stata gentilmente inviato dalla casa editrice Franco Cesati Editore (che colgo l'occasione per ringraziare) una vera e propria chicca su uno degli autori italiani contemporanei più apprezzati degli ultimi tempi: Italo Calvino.

"[...] Eppure uno scrittore così tanto letto e studiato, i cui libri si trovano esposti in bella vista sugli scaffali di qualsiasi libreria [...] tiene nascoste le sue sorprese, le sue preziose rarità, lontano da occhi indiscreti, da giudizi azzardati e da orecchie inesperte.[...]"
Inizia così il saggio di Giovanni Inzerillo, La "pulce" musicale di Italo Calvino.
Stiamo parlando infatti di quella sua vena teatrale e musicale sconosciuta a molti.
Chi se lo aspettava, insomma, un Calvino appassionato di balletti e librettista di Mozart?
Eppure la sua genialità creativa ci è ben nota. Ma ci stupisce sempre, con effetti speciali - come si suol dire.
Nonostante non fosse in possesso di una grandissima cultura musicale - a differenza di molti altri autori, quali Montale ed Eco - Calvino si destreggia bene tra la sua caratteristica prosa narrativa e un'ottima impronta musicale.

Le sue canzoni sono un contributo prezioso per la cultura musicale degli anni Cinquanta-Sessanta ed hanno come scopo quello di stimolarla, inserendo tematiche di più ampio spessore ed estirpando piano piano l'aspetto ludico, fine a sé stesso.

Inzerillo analizza con gran cura, ma senza mai annoiarci, una cernita di testi poetici destinati ad essere accompagnati da un pentagramma. Testi come Dove vola l'avvoltoio? e Sul Verde Fiume Po, i quali si riferiscono sempre ad aspetti della realtà in cui Calvino vive.
Parliamo di neocapitalismo, dopoguerra e odio bellico.
 Avevamo vent'anni e oltre il ponte / oltre il ponte che è in mano nemica / vedevam l'altra riva, la vita, / tutto il bene del mondo, oltre il ponte.
Si tratta senz'altro di canzoni che vanno apprezzate per la scelta del lessico, intrinsecamente sonoro,  in quanto l'arrangiamento musicale - molto spesso limitato - non era nemmeno curato da Calvino.

Siccome non ci fa mancare niente, Inzerillo ci introduce anche al racconto teatrale mimico Allez-Pop, pubblicato a ridosso del 1958 - 1959, che ha come protagonista ... una pulce.

Insomma, e pensare che il nostro Italo dichiarò "Il mondo della musica mi dà soggezione".

E mentre canticchio Turin-la-nuit o Rome by night, sorseggiando una tazza di latte caldo, perchè non spulciate un po' il catalogo della Franco Cesati Editore?
Insomma, scovate le perle nascoste e fatemi sapere.



Un abbraccio, 
Claudia


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domenica 1 maggio 2016

Libri in pillole #5 - Anna Karenina muove il mondo

Eccoci, dunque.
Io, un foglio di carta bianco e te.
Solo noi due, per l'ultima volta. Poi ti poserò nel tuo scaffale, accarezzerò il tuo dorso e sospirerò.
In realtà è un arrivederci, e tu lo sai bene Anna.
Sai che negli ultimi venti, trenta giorni - quanti sono stati poi? - mi hai scavato un piccolo solco nell'anima, pagina dopo pagina. E pensare che all'inizio non ti capivo nemmeno poi tanto; troppo fredda, forse. 
Col tempo ho imparato a conoscerti meglio. A dire il vero non c'è voluto poi molto. Giusto qualche battuta, qualche sguardo con Vronskij e io ti ho capito.
Era questo che volevi Lev, giusto? Un lettore sveglio, che andasse oltre la corporeità delle vicende narrate.
Eh sì, perchè un discorsetto va fatto anche a te. Non mi sono di certo dimenticata.
Hai presente Schopenhauer? Magari lo avrai sentito nominare, anche solo per sbaglio. Bhè, questo signore parlava di un certo velo di Maya, un velo che distorce l'essenza della realtà stessa, posto tra noi e la verità. Ed è come se tu lo avessi strappato. Ma come è possibile?
Ah, il potere delle parole. 
E ora mi trovo a delirare su quello che hai scritto, mio caro Lev.

Vorrei parlare di Vronskij, uomo quanto mai ordinario, il quale vive di rendita, ama le corse ippiche, non riesce a far tacere la madre, corteggia un po' tutte le donne che incontra. Ma dimmi, come faccio? Come faccio a spiegare quanto la sua personalità sia diversa da quella di Anna? Come si fa a descrivere un uomo obbligato a prendere una posizione rivoluzionaria che non riesce a sostenere, nemmeno per amore? Ma poi, dimmi Lev, lui la amava veramente?

Ma torniamo a te, Anna.

Anna, tu sei una donna straordinaria. Vittima di due uomini troppo innamorati di loro stessi per accorgersi di avere tra le mani una gemma preziosa.
Tu, circondata da uomini e donne superficiali, mediocri, sprofondati nei codici sociali. Tu brilli. 
Non subito, però. Ti fai spazio pian piano, fino a quel momento. Quel fatidico momento.
Nel tuo sguardo "[...] i visi della gente si deformano, le miserie della vita sociale vengono smascherate, le convenzioni umane svelano la loro artificiosità. [...]"*
Hai scardinato l'insopportabile conformismo in cui eri immersa. Hai smesso di accettare la falsità di un mondo che, insomma diciamocelo, hai sempre rifiutato dentro di te.

E ringraziamolo Vronskij, per averti dato la spinta verso il lancio, anche se i suoi occhi e il suo sorriso si sono fatti di ghiaccio quando gli hai spiattellato in faccia la realtà della vita.
Poco importa.

Ringraziamo anche Stiva e Dolly, Levin e Kitty. Ringraziamo Betty e Karenin - anche se vi ho odiato e continuerò a farlo.
Ma ringraziamoli.
Tanto alla fine siamo rimaste solo io e te. 
Io che mi sono dovuta ricredere, quando per sbaglio ti ho definito un personaggio passivo, alla Lucia Mondella. E tu, che invece sei la forza motrice di tutto.

Sei l'eroina di te stessa. E sei la mia.

Grazie Anna Karenina.

Grazie Lev Tolstoj.

Vostra, Claudia

Note:
* Cit. Eraldo Affinati


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venerdì 1 aprile 2016

Libri in pillole #4 - Kafka e la metamorfosi


La letteratura del primo Novecento è affascinante; è la letteratura dell'inquietudine, la quale si porta dietro i dubbi e le ombre seminate dal Decadentismo di fine Ottocento, abbandonando completamente la visione positivista del progresso sociale ed economico degli albori del XIX secolo.
L'età dell'ansia, della psicoanalisi di Freud, del flusso di coscienza di Joyce e Proust, della dispersione, dell'Astrattismo, della musica dodecafonica.
Tra le menti geniali di questo periodo troviamo Franz Kafka, un altro dei miei amori letterari (la situazione mi sta sfuggendo di mano, me ne rendo conto!) che non posso non spingervi a conoscere meglio.

Kafka incarna la perfetta raffigurazione del profondo malessere che caratterizza il Novecento.
Nato a Praga nel 1883 da una famiglia ebrea di origine ceca e madrelingua tedesca, è brutalizzato dal rapporto con il padre.
In lui convivono senso di colpa ed oppressione, aspetti della sua vita che impregnano i suoi scritti.
 
Nelle sue opere spicca il perturbante, nel suo significato psicoanalitico.
La chiarezza e la precisione stilistica, accompagnata da un narrare realistico, si oppongono alla generazione di situazioni del tutto illogiche ed irrazionali.
Tutti abbiamo sentito almeno una volta l'aggettivo kafkiano, utilizzato per indicare una situazione del tutto assurda ed ostile. Questo perchè le situazioni create da Kafka sono ormai un'emblema che va ben oltre la letteratura e fanno parte del nostro quotidiano.
"Gregor Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica."
E' così che si apre La metamorfosi, il racconto più celebre dell'autore.
Gregor Samsa una mattina, inspiegabilmente, si trova trasformato in uno scarafaggio.
Un'immagine forte che esplica la lacerazione tra senso del dovere e le reali aspirazioni dell'autore stesso, trasmettendo un'asfissiante sensazione di oppressione.
Uno degli aspetti più interessanti sta proprio nei parallelismi che ogni elaborato ha con la biografia dell'autore.

Leggendo Kafka si viene invasi da un senso di inadeguatezza, quasi claustrofobico. Accompagnati dalle allegorie vuote, ci si sente sotto autoaccusa, condannati a un destino di insignificanza.


Oltre che consigliarvi la lettura de La metamorfosi, vi segnalo una graphic novel trovata per caso in una delle mie peregrinazioni alle bancarelle dell'usato.

Una vera e propria chicca per gli amanti del nostro caro Franz, che mette in luce gli aspetti più salienti della sua vita, rapportandoli con la stesura delle sue opere più celebri.

Sto parlando di Kafka for beginners di Crumb Robert e Zane Mirowitz David.


Insomma, leggetevi Kafka.

Claudia  





 
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giovedì 31 marzo 2016

Libri in pillole #3 - Perchè leggere Dostoevskij

Come vi ho spesso detto, la mia vita da lettrice è una continua metamorfosi, uno sperimentare nuovi generi ed autori, alla ricerca di una visione più ampia e, azzardiamo, completa.
Mi metto in gioco come lettrice, ma anche come persona.
D'altra parte non è questo uno dei pregi più grandi della lettura stessa? Crescere pagina dopo pagina, riscoprirsi tra le parole.
Ed è per questo che voglio invitarvi ad avvicinarvi al mondo della letteratura russa dell'Ottocento, dal quale mi sono sempre tenuta volontariamente alla larga. Fino a quando non ho letto Le notti bianche di Dostoevskij.

Gli autori russi hanno sempre quella strana tendenza ad intimorire il lettore medio, sia per la ben nota prolissità dei loro elaborati, sia per quel misticismo reverenziale che avvolge le imponenti, quasi ingombranti, figure di Tolstoj, Dostoevskij, Gogol' e Turgenev.
Complice forse anche l'istruzione scolastica, si è sempre un po' ostici nell'intraprendere la lettura di un romanzo russo, soprattutto se parliamo dei mattoni più conosciuti Anna Karenina e Delitto e Castigo.
Ma se invece che buttarsi a capofitto in Guerra e Pace non ci si facesse spazio in punta di piedi?
Piano, piano. Giusto un assaggio, per poi innamorarsi perdutamente della società cristallizzata della Russia zarista.
Insomma, perchè non iniziare con Dostoevskij? Perchè non iniziare da Le notti bianche e Il giocatore?

Dostoevskij è un innovatore e la sua genialità traspare anche da questi romanzi brevi. Anzi, tutto il suo potenziale è riassunto proprio nelle sue opere minori. Dei veri e propri emblemi di quello che sarà - o così spero - nei suoi romanzi più celebri.
Il romanzo di Dostoevskij è polifonico. Dimenticatevi della narrativa tradizionale, dove i pensieri dei personaggi sono proiezioni della visione dell'autore stesso.
Con Dostoevskij ci troviamo di fronte a un coro di voci indipendenti, in cui il narratore è solo uno tra tanti, allo stesso livello di tutti gli altri personaggi.
Ecco la grandiosità di questo autore.
Come scrisse Bachtin "Dostoevskij crea non schiavi silenziosi, [...] ma uomini liberi, atti a stare accanto al loro creatore, a non condividere le opinioni e persino a ribellarsi contro di lui."
Ci troviamo di fronte ad una pluralità di mondi, tappezzati da protagonisti con una propria visione della realtà.
La dimensione temporale abbandona l'oggettività a favore di una dilatazione completamente soggettiva, corrispondente alla profondità dei processi interiori dell'uomo.
Ed è così che il sognatore de Le notti bianche e Aleksej Ivanovic de Il giocatore sono liberi tra le pagine, nella loro incompiutezza, sottratti a qualsiasi definizione stabile.
Senza una direzione, senza risposte, senza verità.

Tra il materialismo ossessivo di Aleksej Ivanovic per il gioco d'azzardo e l'impalpabilità delle emozioni del sognatore c'è tutto questo.
Apparentemente due racconti agli antipodi, così differenti, eppure entrambi così venali, collegati da un sottile filo conduttore: il gioco crudele della vita.
Tra le parole di un Dostoevskij quanto mai ironico e distaccato, c'è sempre quell'ombra dell'irrealizzabilità di ogni qualsiasi progetto di felicità umana.
Uomini non schiavi del loro creatore, quanto piuttosto della loro stessa natura, della loro stessa vita. Incapaci di sdoganarsi dai loro vizi, ma con la voglia di violare ogni regola imposta dalla visione socialista, razionalista e capitalista. Posti all'interno di un continuo dibattito tra bene e male, perversione e bontà.

Quando al liceo mi è stato detto "Dante è tutto", ci ho creduto. Tutt'ora ci credo.
Ma ho scoperto che c'è dell'altro.
C'è Dostoevskij.

Claudia

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(Gruppo di lettura A cena con Dosto di Rebecca qui)

venerdì 18 marzo 2016

Sul comodino - #Fridaynight

18 marzo 2016.
Dopo una delle solite giornate frenetiche tra aule universitarie e segreterie studenti, finalmente posso godermi il mio venerdì sera da vera festaiola.
Computer, trapunta, kobo e gelato.
Ahh, la gioventù.
Il ritorno del post tutto e niente che tanto aspettavate, giusto per essere sicuri che respiro ancora (quel poco di ossigeno pulito che si trova in città, insomma).
I mesi passano in un battibaleno. Tra poco mi trovo un anno più vecchia, la mia vita da teenager è ormai un ricordo dolce che si affievolisce sempre più, mentre sulle mie spalle pesano sempre più responsabilità. Ma per vedere il bicchiere mezzo pieno - cosa che devo impormi per non crollare - sto costruendo il mio futuro giorno per giorno, facendo quello che mi piace, con un sorriso.
(e una marea di sudore, ma ho detto che guardo il bicchiere mezzo pieno!)
Ora, la mia vita da lettrice - quello che alla fine interessa a voi - è in continuo mutamento. Leggo tanto, e leggo cose belle.
Questa è la felicità.
Trovare alla sera accanto al proprio letto qualche pagina da sfogliare per sentirsi un po' meno sola sotto le coperte, un po' più forte davanti alle sfide, un po' coccolata nei momenti malinconici.
E con qualche pagina intendo sei libri.
Ormai l'abitudine di leggere un libro alla volta è stata sostituita dalla cattiva tendenza ma sì, inizio anche questo tanto è corto. 
Eh beh certo. Finchè non ti ritrovi con la torre di Pisa sul comodino.
Le fondamenta sono solide.
Note invernali su impressioni estive di Dostoevskij per il gruppo di lettura A cena con Dosto di Rebecca.
Bello, bellissimo. Diari di viaggio, la mia passione.
I fiori del male di Baudelaire.
Lei piange insensata, perchè ha vissuto e perchè vive! Ma quel che soprattutto ella deplora, e la fa fremere sino ai ginocchi è il fatto che domani bisognerà che viva ancora. Domani, e domani ancora, e sempre. Come noi.
Labirinti di parole, quanto basta.

Saggistica ne abbiamo? Ovvio. Books vs cigarettes di Orwell, pure in lingua. Tant'è.
Narrativa italiana nuova e promettente con Lacci di Starnone, un po' di oriente con il mio primo Murakami, in e-book, Norwegian Wood.
E, per non farsi mancare proprio niente, La pulce musicale di Italo Calvino; un breve saggio inviatomi gentilmente dalla casa editrice Franco Cesati Editore. (Ve ne parlerò presto.)

E pensate, in tutto questo riesco anche a caricare dei video sul canale youtube. Insomma, chiamatemi Wonder Woman.






Incredula di aver scritto un post, vi lascio con un forte abbraccio e la citazione di una vita.

"[...] L'unica ossessione che vogliono tutti: l'amore.
Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime?
Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l'amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due. [...]"
Oh, mio caro Roth.

Claudia

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